fonte: https://www.lospecialegiornale.it/2024/08/10/bussone-uncem-montagne-depredate-lottiamo-per-esistere/
Sole e, probabilmente, trascurate. Sono anni che le Comunità montane lottano per il diritto all’esistenza, mentre assistono impotenti alla progressiva perdita di tutti i servizi essenziali. Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale Comuni, Comunità ed Enti montani (nella foto), le vostre realtà territoriali sono davvero così neglette?
«Guardi, mai successo, in verità, che ci sia tanta attenzione sulla montagna come ora. Al Parlamento c’è in discussione anche una legge a tema, sulla quale ci pronunceremo. Quelle che mancano da tempo sono le politiche attive per la montagna. Si continua a ignorare, di fatto, l’articolo 44 della Costituzione».
La Sanità è la madre di tutte le questioni, vi siete messi persino a caccia dei medici di famiglia…
«I sindaci inseguono i medici di base, che non ci sono, ma stanno facendo di tutto, per avere un medico di medicina generale sui loro territori. Se li contendono. E i medici chiudono studi in alto, nei comuni alpini e appenninici più piccoli e a maggior altitudine. I sindaci si sono mobilitati, ma sono soli. Non è compito loro cercare i medici. Lo fanno in quanto autorità sanitaria e perché altri non se ne occupano. Chiamano i direttori generali delle Asl, i medici stessi, gli assessori regionali. La Sanità è una drammatica emergenza nazionale che si acuisce nelle nostre zone, si è tornato a investire in maniera compulsiva soltanto nel periodo del Covid, ma pesano anni di tagli e di ridimensionamenti, di progressiva diminuzione del personale medico e paramedico e la fuga di molti di essi nel sistema privato. Ci piacerebbe reperire con facilità un’ambulanza e trasportare un paziente in un ospedale che non sia a cento chilometri di distanza. La nuova legge della montagna dovrà risolvere il problema con determinazione, impegni di spesa, efficacia sul breve e lungo periodo».
La solita domanda: mancano le risorse?
«No, quelle ci sono, penso ai fondi del Pnrr, a quelli di Coesione, a quelli regionali, al Fondo della montagna, che ammonta a circa 200 milioni. Ciò che manca paradossalmente è la pianificazione, si spendono anche mezzo milione di euro per la progettazione, che rimane nei cassetti, e poi i lavori non vengono mai avviati. È un problema enorme».
Un’altra vostra battaglia riguarda il superamento del divario digitale con le altre aree del Paese.
«Le reti ci servono. Le infrastrutture sono necessarie. Non vogliamo stare nel piccolo mondo antico senza connettività fissa e mobile. Non ho mai capito le amministrazioni che hanno detto no. O i parchi e le soprintendenze che si sono opposti alle antenne, così come si oppongono alle rinnovabili. Dobbiamo insieme vincere sperequazioni e disuguaglianze. Evitare che solo le città siano attrattive e che le zone montane, i piccoli Comuni restino indietro».
Da tempo, presidente, chiedete anche la revisione totale del Testo unico sugli enti locali. Perché?
«C’è bisogno di una legge che, almeno negli ultimi dieci anni, non è mai stata organica, pianificata e oggetto di un ampio dibattito parlamentare e di un confronto con le forze istituzionali, sociali, economiche. Qual è, oggi, il ruolo dei Comuni? Possono essere complementari anziché concorrenti? E qual è la funzione degli enti di livello superiore? Penso alle strampalate Città metropolitane, nate sul modello francese, ma rimaste opere incompiute. La verità è che non si può più ragionare per compartimenti stagni, bisogna avere una visione d’insieme con il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali, dalle Comunità montane alle Regioni. L’architettura istituzionale di questo Paese, che avrebbe bisogno di profonde riforme, è soggetta agli umori e alle convenienze del momento. In Francia hanno ridotto le regioni da 22 a dieci, con un enorme risparmio per le casse dello Stato. Da noi non si può».
Cosa pensa l’Uncem dell’autonomia differenziata?
«Non entro nel merito, entro nel metodo. Non c’è autonomia senza autonomie. Non si fa una riforma di tale portata senza valutare il costo dei Lep e, preventivamente, il calcolo dei gettiti che devono restare alle Regioni e quelli che vanno trasferiti allo Stato; non si fa una riforma del genere senza coesione sociale con il rischio di determinare sperequazione e fratture tra Nord e Sud; non si fa una riforma del genere ignorando le funzioni degli enti locali e la loro possibile interazione. Non si fa una riforma del genere senza aver condiviso le regole con tutti».