Tra tradizione e innovazione: la Chiesa e il rilancio delle aree interne
È soprattutto la metropoli ad alimentare la solitudine, paradosso dei tempi attuali. Il suo richiamo per la ricerca di lavoro, di servizi e infrastrutture si traduce nel progressivo abbandono del tessuto di piccoli borghi, spina dorsale del nostro Paese, in favore della crescita di periferie anonime. Queste però, sono sempre più grandi, intorno a centri urbani sempre più estesi, luoghi in cui viene a mancare il senso di solidarietà che, invece, tipicamente anima le comunità più piccole.
Così accade che i piccoli borghi, dove la qualità della vita potrebbe essere migliore, vedano la vita spengersi inesorabilmente. Una tendenza su cui sta crescendo anche l’attenzione della Chiesa che cerca di presidiarli attraverso “unità pastorali”, potendo contare su un numero sempre più esiguo di sacerdoti.
Come rilanciare le aree più interne del territorio e contrastarne l’abbandono?
Ne parliamo con Monsignor Felice Accrocca, Arcivescovo di Benevento.
«Combattere lo spopolamento dei territori interni non è semplice, ma è stata la stessa esperienza della pandemia a rivelare le potenzialità di queste aree, che in realtà, in linea generale, possono contare su importanti risorse tra cui quelle di carattere storico, artistico, enogastronomico. Sono punti di forza che però devono essere valorizzati in una progettualità di ampio respiro».
Come fare?
«Servono infrastrutture, capaci di coniugare l’accessibilità con il rispetto del territorio. Occorre un progetto a supporto dei singoli luoghi, ma che abbia una visione globale e che li faccia interagire tra loro. È inoltre necessario lavorare sul fronte culturale, per abbattere visioni miopi e campanilismi che rischiano di mortificare iniziative preziose».
Quale può essere il ruolo della Chiesa?
«La Chiesa cerca di garantire presenza, presidio, si pone come antenna del territorio e propone un metodo che, in primo luogo, è quello ecclesiastico della comunione, ma soprattutto si fa portavoce dell’importanza di fare leva sulla collaborazione, di proporla e di viverla. In questa direzione portiamo avanti anche attività di formazione rivolte agli amministratori più giovani, con l’obiettivo appunto di fornire strumenti, informazioni e riflessioni, ad esempio, sulle politiche fiscali che possono essere adottate per favorire la permanenza di coppie di giovani su territori più isolati. I risultati non mancano, a partire dal fatto che lo scorso Forum di maggio ha visto anche la presenza del Ministro Mara Carfagna e proprio dal confronto con lei è nata la possibilità di riuscire a ottenere l’inserimento di Fortore (Campania) nella Snai (Strategia nazionale per le Aree interne)».
I piccoli borghi richiedono anche una diversa attenzione pastorale?
«Questo è un tema su cui abbiamo iniziato a interrogarci e sul quale nel 2021 abbiamo organizzato un primo convegno. L’edizione di quest’anno, a Benevento, ha visto la partecipazione di oltre trenta vescovi da tutta Italia e gli interventi del Segretario Generale e del Presidente della Cei, confermando l’attenzione della Chiesa a una riflessione che non era mai stata sollevata da teologi o pastoralisti. Quella che stiamo vivendo, infatti, è una situazione nuova, che vede parrocchie di territori interni senza un sacerdote stabile e senza una significativa comunità di anime, soprattutto di giovani. Serve quindi un nuovo approccio che da una parte alimenti il ripopolamento, metta in rete le piccole comunità e aggreghi i giovani, dall’altra la collettività deve diventare meno “clerico-dipendente”, ma sostenuta e guidata da un coinvolgimento forte e partecipativo di tutti».
Quali sono le difficoltà da affrontare?
«Oltre a una progressiva riduzione del numero di sacerdoti, scarseggiano anche educatori preparati. Questo allontanamento è figlio di un cambiamento culturale che dobbiamo affrontare, in un cammino reso particolarmente complesso dalla velocità che impone. I passaggi tra presente, passato e futuro, infatti, si fanno sempre più repentini. Adattarsi al cambiamento non è facile per nessuno ed è particolarmente arduo per un organismo plurisecolare come la Chiesa, che deve progressivamente mettere a fuoco i valori evangelici perenni e quelli transitori, che si modificano con l’evolversi della vita culturale, e adottare nuove forme di relazione con le comunità. Basti pensare al peso che giocano oggi i flussi migratori, composti da tanti giovani, cattolici, ma anche cristiani non cattolici e fedeli di altre religioni. Per relazionarsi con queste nuove congregazioni va impostato un nuovo approccio pastorale. Parallelamente vanno create le condizioni perché questa fetta di popolazione crescente possa giocare un ruolo positivo nel ripopolamento di piccoli borghi delle zone più intere del nostro Paese».
Di Francesca Corsini